lunedì 30 dicembre 2013

il Capitano Cook incontra i Virginiana Miller

I Virginiana sono uno dei gruppi più interessanti del panorama italiano attuale. Sulla scena dal 1990, hanno sei dischi in studio all’attivo, di cui l’ultimo, "Venga il regno”, pubblicato recentemente, sta ottenendo ampi consensi. Seguendo la band nella loro recente visita promozionale milanese, tra la presentazione del disco alla Feltrinelli e l’impegno successivo a Radio Popolare, sono riuscito ad intervistare Simone Lenzi in un umido scantinato, nell'intervallo tra un set e l'altro. Ne è uscito il ritratto di un uomo, ancor prima di un artista, che, col trascorrere degli anni, ha acquisito consapevolezza di sé e del proprio valore. Oggi, dalla musica e dalle parole delle loro canzoni, traspaiono una maturità ed una serenità che sembrano derivare dall'aver imparato ad “accettarsi”, traguardo a cui credo ognuno di noi, in fondo, aspiri ad arrivare.
Venga il regno sembra un traguardo, è un lavoro maturo ed equilibrato. Un grande disco pop, nell’accezione più nobile della parola, accessibile ma con contenuti molto profondi. Come è nato e cosa rappresenta per voi questo nuovo capitolo nella storia dei Virginiana?
Probabilmente il disco rappresenta una raggiunta consapevolezza dei nostri mezzi espressivi, che in qualche modo abbiamo affinato durante questi anni di lavoro. Forse siamo riusciti a scrivere delle canzoni che, come dire, non avessero complicazioni inutili, che mirassero dritto a quel che avevano da dire. I brani, infatti, sono nati abbastanza spontaneamente e in un periodo di tempo piuttosto limitato.
Una bella giornata” contiene l'esortazione a vivere qui e ora, senza aspettarsi niente di diverso dalla bellezza delle piccole azioni quotidiane e l’invito a farle trionfare sul resto. Ci vuole coraggio per vivere così o è solo una presa di coscienza che questo è l'unico modo che ci resta?
Probabilmente potrebbe anche trattarsi semplicemente della proiezione nella realtà di un dato anagrafico, avendo noi di media intorno ai quarantacinque anni. È chiaro che se, alla nostra età, avessimo ancora una visione del mondo che prevede infinite possibilità saremmo affetti, come dire, da un giovanilismo patologico. A questo punto della vita ormai “siamo quel che siamo diventati”, non ci sono più tutte le strade aperte che esistevano vent’anni fa. Il fatto che ce ne siano solo alcune, però, non è necessariamente un dato negativo. Forse sfruttare al meglio quel che si ha, che ci è rimasto, può anche rivelarsi una possibilità per agire più incisivamente sulla realtà.

Nel disco sono molto presenti temi come l'amore o il rapporto a due, anche dove la tematica del brano è prettamente sociale, come ad esempio in “Anni di piombo”. Quanto è importante il proprio modo di amare nell'affrontare ciò che succede all'esterno?
Direi che è fondamentale. Penso che, in fondo, la quasi totalità dei brani del disco siano canzoni d’amore. Naturalmente, poi, bisogna vedere cosa s’intende esattamente per amore. Cerchiamo di parlare di questo sentimento oltre noi stessi, perché non crediamo che le vicende personali siano, alla fine, così interessanti.
Flaiano diceva: “L’amore è una cosa troppo seria per lasciarla fare agli amanti“, insomma bisogna che la faccia qualcun altro. Chi scrive canzoni a volte ha la possibilità, appunto, d’occuparsi d’amore in modo più serio. Con le debitissime proporzioni è "l’amor che move il mondo e l’altre stelle”. Questo è il concetto interessante da cui partire. Voglio dire, gli episodi personali, del cuore infranto di turno lo sono molto meno. Nel caso del brano “Anni di Piombo”, l’intento sicuramente era parlare di un momento importante della storia italiana, alla fine, però, riconducendolo ad un rapporto a due. Quando nell’ultima lettera Moro scrive alla moglie: “la mia immensa tenerezza passi per le tue mani” (e noi citiamo questa frase nel testo) è chiaro che queste parole rappresentano qualcosa che alla fine non riguarda più solo lui che l’ha scritta. Veramente, anche letterariamente, secondo noi, si tratta di una forma espressiva perfetta. Tanti altri che in seguito hanno letto le lettere o hanno ripensato a questa vicenda crediamo si siano potuti ampiamente ritrovare nel loro contenuto.
Molto più che in passato, in diversi brani si respira un certo ottimismo. Sembra quasi che una serenità di fondo, pur passando anche attraverso temi drammatici, percorra tutto il disco. Questo stato riflette la tua attuale condizione personale?
Tornando al discorso di prima, se uno arriva a quarantacinque anni e non si è suicidato vuol dire che dei compromessi con la vita li ha fatti, che quindi, tutto sommato, ha trovato una dimensione accettabile dell’esistenza. Io credo, se ci si riesce, che la realtà vada descritta nella sua multiformità. Emozionalmente è qualcosa di complesso: c’è una specie di “maledettismo di maniera” che forse riguarda altri gruppi, ma non noi. Con le loro canzoni vanno ad intercettare un pubblico che c’è già e quasi si aspetta proprio quel modo di rappresentare il quotidiano. Da questo punto di vista, noi siamo un prodotto di marketing molto più difficile da interpretare perché scriviamo canzoni come “Una bella giornata”, ma anche come “Lettera di San Paolo agli operai”. La realtà, però, è fatta così, comprende tutte e due queste visioni. Chi ne vede una sola crediamo sia più interessato a vendere, che non a raccontare la verità. Dopo aver vissuto nella vita esperienze effettivamente più toccanti, forse cominci a lasciare dietro di te un po’ di pessimismo adolescenziale e invece, come dire, inizi anche ad apprezzare quello che hai intorno.

I vostri testi ricevono sempre maggiori riconoscimenti dal punto di vista letterario ma Sanremo vi ha snobbati (e con "Anni di piombo" penso abbia perso una grande occasione), ed anche il Tenco non vi ha mai chiamati. Perché secondo te?
Appunto per quello che dicevo prima: noi siamo un prodotto di marketing difficile. Abbiamo scritto molte canzoni che, secondo me, potevano tranquillamente essere accolte da quella tradizione a cui, per esempio, fa riferimento il Tenco. Il problema è che a un certo punto devi metterti, come dire una sciarpina. Per andare al Tenco ci vuole una sciarpa o delle Clarks, insomma si aspettano una certa cosa…però noi ‘sta sciarpina non ce la siamo mai comprata. Questo vale anche per Sanremo, ma al contrario: cioè lì avremmo dovuto essere una boyband un po’ più giovanile o una più stile “figaccioni maledetti“. Noi, insomma, siamo persone serie, quindi non ci mettiamo le sciarpine e nemmeno facciamo i coglioni oltre il tempo massimo.
Il mondo musicale è sempre più ricco di proposte anche grazie al web, ai social networks ed alla riduzione dei costi per la produzione di un disco. Si è creato un enorme spazio per un’innumerevole quantità di artisti emergenti. Come valuti questa evoluzione? Giova alla musica oppure finisce per logorarla?
Mah, possono accadere tutte e due le cose insieme. L’abbattimento dei costi di produzione, la possibilità che tutti in qualche modo trovino i mezzi per realizzare i loro progetti musicali, per farli conoscere, indubbiamente è un bene. Il rovescio della medaglia sta nel fatto che quando “un prodotto” costa molto meno alla fine viene anche meno, come dire, quell’autocensura che si dovrebbe avere quando si crea qualcosa destinato ad essere condiviso con il pubblico, quella necessità di chiedersi: “ma ne vale davvero la pena, sto effettivamente dicendo qualcosa d’interessante? Risponde davvero ad una necessità?”. Scemando questa autocensura può succedere che si venga inondati da troppe proposte e che nella sovrabbondanza dell’offerta diventi più difficile orientarsi.

Restando sempre concentrati nell'ambito della musica del nostro paese, c'è qualcosa che ascolti in questo periodo? Qualcosa è riuscito a sorprenderti recentemente?
A me piacciono tante cose in Italia, dico sempre gli stessi nomi, però di fatto ascolto Baustelle, Perturbazione, Pacifico mi piace molto, Thony ha una bellissima voce, ci sono tante proposte interessanti. Naturalmente, ecco non ti capita più di avere quegli incontri musicali come dire che, ti prendono completamente come accadeva quando avevi diciotto anni. Ricordo che a vent’anni, ascoltando per la prima volta un disco degli Smiths rimasi folgorato. Ora, queste folgorazioni non le ho più. Evidentemente non è colpa della musica che si fa, probabilmente è colpa mia che non ho più l’età per questi innamoramenti. Certo io sarei per la diffusione del fatto che, come dire, uno accettasse, in qualche misura, di vivere come la sua età gli impone. Cioè se avessi ottant’anni non mi farei mettere una pompetta per andare a scopare necessariamente. Chi lo fa secondo me sbaglia, però oh, il mondo è bello perché vario…(risata)
Se si parla di Virginiana Miller e Simone Lenzi ci si ricollega subito a Livorno. Un luogo evidentemente stimolante dal punto di vista musicale, vedi artisti come Piero Ciampi, Nada, Bobo Rondelli. I luoghi dove si cresce e si sceglie di vivere quanto sono importanti nella formazione di un artista? Quanto pensi ti abbia influenzato Livorno?
Io credo che mi abbia influenzato moltissimo, anche se noi non siamo mai stati dei veri e propri artisti livornesi. In realtà non abbiamo neanche quasi mai cantato la città direttamente, non è nemmeno mai appartenuta troppo alle tematiche delle nostre canzoni. Credo però che l’attitudine per le cose dipenda molto dal luogo in cui sei nato, è con quell’origine che devi fare i conti. Essere livornesi non è una cosa semplicissima, perché hanno una sorte di maledizione, sono persone un po’ incapaci di prendersi sul serio fino in fondo. Questo sicuramente da una parte è un bene, ti preserva da grandi tragedie esistenziali. Allo stesso tempo, però, ti impedisce a volte di essere davvero convincente, se non sei te il primo a venderti bene gli altri non ti comprano bene! Livorno e’ una città in cui è facile sprecarsi, questo sì.

Come riesci a far convivere in te il musicista e lo scrittore? Quanto è diverso scrivere un libro rispetto a scrivere i testi per un disco?
Per me è abbastanza semplice, le sento come due realizzazioni diverse ma frutto della stessa attitudine, che è poi il lavorare con le parole. La differenza è che, nel caso della canzone, le inanelli sul filo di una melodia. In realtà però anche quando scrivo in prosa mi interessa che la frase giri e suoni in un certo modo. Anzi, anche come lettore per me questa caratteristica è discriminante. Non riesco a leggere gli autori che non hanno ritmo, cioè chi non ha orecchio, secondo me, non dovrebbe scrivere (risata).
"Tutti i santi giorni", dal film di Virzì ha vinto il David di Donatello. Nel 2010 L'angelo necessario è comparso ne La prima cosa bella, sempre di Virzì. L’anno precedente la vostra versione di È la pioggia che va accompagnava Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli. Questa collaborazione con il mondo del cinema è capitata casualmente o è una vostra grande passione?
Sicuramente noi siamo tutti appassionati di cinema. Diciamo che è un’opportunità alla fine capitata abbastanza per caso, ma che ci fa davvero piacere. Abbiamo avuto dal mondo del cinema il riconoscimento che non è arrivato da quello della musica. Forse perché il mondo del cinema è un po’ più serio, non lo so (risata).
Ci sono già altri progetti in questo senso?
Al momento no, però noi siamo disponibilissimi. Anzi scrivere una colonna sonora sarebbe una cosa molto divertente che piacerebbe tanto anche a tutti gli altri. Dove magari io cantassi.

Com’è nato il testo di “San Paolo agli operai“? Esattamente a cosa ci si riferisce, c’è un episodio in particolare da cui trae origine il testo?
Non c’è nessun fatto specifico che l’abbia ispirato, se non fare i conti con l’ambiente in cui sono cresciuto che vedeva protagoniste due grandi tradizioni appartenenti da una parte al partito comunista e dall’altra alla chiesa cattolica. La chiesa cattolica è rimasta, il partito comunista è sparito (risata).
Mi sono trovato in mezzo a quelle due realtà lì, vengo da una famiglia comunistissima, anche se ormai, ora, come si dice tutto è compiuto (risata).
Ho vissuto, però, anche accanto all’oratorio, sicché, alla fine come tutti i bambini, l’ho frequentato ed ho avuto modo di conoscere anche i preti operai, presenti a quei tempi. Non vivevano con uno spirito così in contrapposizione come ci mostrano le classiche figure di Don Camillo e Peppone e, soprattutto nei quartieri periferici, a Livorno di questi sacerdoti ce n’erano tanti, prima della controriforma che c’è stata dopo (risata).
Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro “La Generazione”?
Beh, abbastanza. Insomma, la vicenda che riguarda quel portiere di notte attinge anche a situazioni che sono capitate a me. Qualcuno poi mi ha chiesto: “ma quanto ti è costato metterti a nudo?“. In realtà non mi è costato, perché se scrivi qualcosa non è che ti metti a nudo, anzi, gli dai una forma, quindi lo rivesti. Detto in altri termini, credo che non ci sia nessuna differenza se tu descrivi una storia che in parte ti è successa o che hai inventato. Questo però ad un patto: se ciò che racconti è successo a te, devi riuscire ad osservarlo con un sguardo che appartenga anche agli altri. L’obiettivo è quindi cercare di trasmettere quanto di possibilmente universale c’è nella storia che racconti e questo vale anche per le canzoni. Credo che nelle situazioni personali ci sia sempre qualcosa che possa riguardare anche gli altri. Il problema nasce se invece si pensa che sia importante solo perché è accaduto prima di tutto a se stessi. Invece no, cioè per me non è mai così. Non è che una cosa è speciale perché capita a me. Lo diventa se succede a me, ma effettivamente ha qualcosa in cui anche altri possono riconoscersi, se può riguardare anche altre persone. Nel libro “La Generazione” una coppia, di fronte alla realtà di un figlio che non arriva, dopo aver rimandato e rimandato, a un certo punto si trova a dover fare i conti con una domanda molto semplice: a chi racconto le storie che so, a chi lascio quello che ho imparato nella vita?! Alla fine la questione riguarda tutti, chi fa figli, chi li ha fatti, o chi non li farà mai. Da questo punto di vista è una storia che ho deciso di raccontare perché mi sembrava interessante in generale, al di là del fatto che poi in parte fosse capitata a me. 





Milano, ottobre 2013

Foto di Starfooker

Grazie ad Eleonora Montesanti per l’ispirazione delle domande.
Grazie ad Ellebi per il prezioso aiuto e a Nadia Merlo Fiorillo per i suggerimenti.

sabato 28 dicembre 2013

jirō taniguchi - furari, sulle orme del vento (rizzoli lizard, 2012)

da sempre la lettura è una fedele compagna che mi permette di entrare in relazione profonda sia con me stesso che con il mondo che mi circonda, consentendomi di ampliare gli orizzonti cognitivi ed emotivi. per quanto riguarda in particolare il genere dei fumetti, mi appassionava da ragazzo ma me ne sono allontanato gradualmente nel passaggio all’età adulta. questo fino al momento del casuale e folgorante incontro con l’universo delle graphic novels, ed in particolare con jirō taniguchi
appassionato di manga (termine generico giapponese che identifica i fumetti), fin da bambino ne ha letto e studiato le versioni europee. in particolare dalle bandes dessinées francesi ha appreso che i disegni sono fondamentali per permettere al lettore di provare quell'affinità che "renda sua" fino in fondo l'essenza della storia. ha acquisito così uno stile grafico minimale, realista, dal tratto chiaro, leggero, universale, che lo distingue dagli schemi tipici delle creazioni nipponiche. per la sua elevata produttività (30-40 tavole al mese), lo si può definire un "operaio" del fumetto. spazia fra i generi più diversi, dal romanzo storico, a quello intimista a quello d'avventura, fondendo testi e disegni con vena poetica e riflessiva. protagonisti sono quasi sempre i buoni sentimenti, rappresentati con immagini pure che riscaldano il cuore. nel corso della sua carriera vince numerosi premi, tra cui l’osamu tezuka culture award (1998), l’alph’art al festival del fumetto di angoulême e, nel 2010, il riconoscimento come “maestro del fumetto” nell’ambito del lucca comics and games.
oggi, in particolare, vi voglo segnalare il libro furari - sulle orme del vento
lo scritto riprende il tema del viaggio, del “vagare senza meta”, come indica la traduzione letterale del titolo. un uomo cammina, in balia del vento, verso l’antica città di edo, la moderna tokyo. la storia si ispira alla figura di tadataka ino, famoso topografo e cartografo che tra il xviii e il xix secolo mappò per la prima volta il giappone con tecniche di misurazione moderne.
protagonista è una figura maschile che, curiosa di tutto, si sofferma a godere l’infinita bellezza di ciò che lo circonda. il suo scopo finale è di calcolare la misura di un grado di latitudine. con passo lento e regolare, si immerge beato in passeggiate infinite, il suo sguardo si fonde con quello degli animali che vede durante il suo percorso, immaginando così di essere ora formica, elefante, libellula, gatto, riuscendo persino a percepire, con un semplice abbraccio, la solitudine di un albero secolare.
un viaggio che diventa un dolce pretesto per tramandare il paesaggio giapponese alle nuove generazioni, attraverso i versi struggenti degli haiku. componimenti semplici, senza alcun titolo, particolarmente concisi (solo diciassette sillabe in totale) descrivono la natura nelle diverse stagioni, arricchendola di particolari suggestioni emotive. non è così immediato per un occidentale riuscire ad immedesimarsi nella prospettiva di vita del protagonista, ma per chi è “curioso” e pronto a contaminarsi con altre culture e tradizioni, la lettura di questa graphic novel è davvero un’esperienza “spirituale” che vale la pena di essere vissuta… 

“mi chiedo se non sia finalmente arrivato il momento in cui è necessario fermarsi per osservare bene ciò che ci circonda. camminare è il movimento più importante per l'essere umano. siamo liberi di decidere il ritmo dei nostri passi, e di percepire tutto ciò che vediamo nella sua più intima verità..."

giovedì 26 dicembre 2013

stacey kent - one note samba (2013)

nata a south orange, in new jersey, ma trasferitasi in inghilterra dopo il diploma in lingue ottenuto a new york, stacey kent è considerata uno degli astri nascenti nel panorama jazz mondiale. dal 1997, anno del suo esordio, ha pubblicato una decina di album, ricevendo importanti riconoscimenti: nel 2001 ha vinto il premio british jazz award, l’anno successivo il bbc jazz award come miglior vocalist e nel 2009 ha ricevuto una nomination ai grammy awards. considerata un’ambasciatrice nel mondo della musica francese, (ha all’attivo raconte moi un album in studio e dreamer in concert, un live registrato a la cigale di parigi), nel marzo 2009 è stata nominata cavaliera delle arti e delle lettere dal ministro della cultura francese. 
un altro suo grande amore, quello per la musica brasiliana, l’accompagna dall’età di quattordici anni, quando, da un amico, ascoltò joao gilberto con stan getz e jobim. all’epoca non parlava portoghese e non era musicista, ma rimase completamente affascinata da quella melodia allo stesso tempo intesa e leggera, delicata e fragile, con la quale, ancora oggi, sente un legame diretto ed intimo. lo scorso settembre è uscito l’album the changing lights, che riguarda sia la rivisitazione del tutto personale di brani standard appartenenti ai generi samba e bossa nova, che la proposta di pezzi originali, per lo più firmati dal marito, il sassofonista jim tomlinson, che ha curato anche gli arrangiamenti del nuovo lavoro. 
“vorrei che chi ascolta si struggesse assieme a me per i testi, le storie e le melodie”, così stacey presenta il suo disco, rivelando un amore profondo per la poesia, il sentimento delle parole, ma anche per le armonie musicali.
tutto il disco è stato concepito da stacey andando alla ricerca di un possibile sottile equilibrio fra gioia e malinconia, facendo sue fino in fondo le parole di vinicius de moraes: “la tua tristezza ha sempre una speranza: quella di finire, un giorno“. il video è relativo all’esibizione live, avvenuta lo scorso ottobre a lisbona, del brano one note samba (superclassico scritto da antonio carlos jobim), in cui la voce leggera ed agile di stacey, si sposa perfettamente con le delicate sfumature di una melodia senza tempo…
one note samba

this is just a little samba, 
built upon a single note 
other notes are bound to follow, 
but the root is still that note 
now this new one is the consequence, 
of the one we've just been through 
as i'm bound to be the unavoidable consequence of you 
there's so many people who can talk 
and talk and talk and just say nothing, 
or nearly nothing 
i have used up all the scale i know, and at the end i've come to nothing, 
or nearly nothing 
so i come back to my first note, 
as i must come back to you 
i will pour into that one note, 
All the love i feel for you 
anyone who wants the whole show, 
re mi fa sol la si do 
he will find himself with no show, 
better play the note you know

martedì 24 dicembre 2013

sergio caputo - c'est moi l'amour (2013)

“oggi sono una persona molto diversa da quella che ero nel 1983, ma il piacere di riproporre queste canzoni come se fossero nate oggi è qualcosa che non volevo e non potevo negarmi. spero che questo piacere sia contagioso''. così il cantautore romano sergio caputo presenta il remake del disco un sabato italiano che, nell'aprile di 30 anni fa, lo fece scoprire ed apprezzare dal grande pubblico con uno stile che ancora oggi rimane del tutto personale e inconfondibile. 
caputo, che ha vissuto 12 anni in california, rientrando dice di aver ritrovato più o meno l'italia che aveva lasciato, con gli stessi pregi e difetti. da lì è nato il desiderio di far conoscere le sue canzoni, che sente ancora attuali, ad un pubblico nuovo, che non era ancora nato negli anni ’80. la riedizione dell’album, intitolata un sabato italiano 30 e realizzata in versione più jazz, è accompagnata da un tour teatrale, "un sabato italiano show", partito il 16 dicembre da milano. il cantautore, per la prima volta, esegue dal vivo tutti i pezzi dell’album, accompagnato sul palco da una band di sette elementi, inclusa una sezione fiati. a completamento di questo progetto musicale è anche prevista la pubblicazione dell'autobiografia, "un sabato italiano memories", con la prefazione di carlo massarini (che contribuì fortemente al suo lancio attraverso la storica trasmissione rai mister fantasy), in cui sergio racconta le storie e i retroscena che hanno generato le sue canzoni. 
la nuova versione del disco comprende anche due brani inediti, i love the sky in september e c’est moi l’amour, di cui è stato diffuso anche il relativo video. la canzone, un delizioso pop jazz dai contenuti autobiografici, in cui caputo con leggerezza e brillante ironia, caratteristiche che da sempre lo contraddistinguono, ci racconta la storia di un uomo che le prova tutte per conquistare la donna amata, nella “narcisa” convinzione che nessuno sarà in grado di donarle più amore di lui…

domenica 22 dicembre 2013

virginiana miller - anni di piombo - lettera di san paolo agli operai (2013)

i virginiana miller, gruppo livornese attivo dal 1990, da sempre, con le loro canzoni, cercano di esprimere la complessità emotiva del reale. con occhi ancora capaci di stupirsi, osservano attentamente una porzione piccola di mondo, quella che conoscono, per poi descriverla con tutto l’amore possibile. si definiscono una band ‘pop’, ossia popolare, attribuendo a questo termine strettamente connesso alla cultura, un significato alto e nobile. un percorso che, in tutti questi anni, hanno tracciato con creatività e coerenza.
simone lenzi (voce), antonio bardi (chitarra), matteo pastorelli (chitarra), daniele catalucci (basso), giulio pomponi (tastiere) e valerio griselli (batteria), lo scorso settembre hanno pubblicato il sesto album, venga il regnoquesto disco, in particolare, grazie anche a testi più diretti, stabilisce un rapporto intimo ed immediato, fra ciò che è dentro di noi e quello che accade fuori. un mondo, quello attuale, fatto di mancanza di certezze, a cominciare dal lavoro, passando per la politica o la religione, ma nel quale continuare a coltivare la bellezza di “esserci” fino in fondo ogni giorno, è un’opportunità da non perdere…
rimanere fiduciosi, mantenere la speranza, tutto questo traspare anche nel video, con la regia di matteo scotton, relativo al brano anni di piombo. un tema delicato quello affrontato, alla quale la band tiene moltissimo. si parla anche di aldo moro, di quegli “anni terribili”, cercando di raccontarli oltre la storia. la convinzione è che, in quell’esperienza orrenda che fu il sequestro e l’uccisione dello statista democristiano, il nostro paese si sia giocato tante possibilità che, se realizzate, avrebbero reso il nostro presente un po’ meno disperante. rimane comunque il desiderio di non soccombere di fronte a quello che si potrebbe definire “il male della storia” e un senso di profonda gratitudine per tutti quei “padri” che, come aldo moro, con la loro statura umana, il loro coraggio, hanno contribuito a salvaguardare la vita democratica della nazione. nasce così una toccante canzone d’amore dedicata prima di tutto all’uomo aldo moro, ai suoi sentimenti che, allo stesso tempo, stabilisce un intenso legame fra passato e presente. entrambi caratterizzati da un realtà quotidiana “pesante” da vivere, ma in cui resistere, guardare avanti comunque con un sorriso è una necessità o forse addirittura un dovere, che abbiamo nei confronti di noi stessi e di coloro che amiamo…
anni di piombo
l'autostrada è del sole stanotte 
ma piove sul valico a Bologna 
eppur bisogna andare 
la radio mi trasmette l'amore amore 
stai tranquilla, vado piano 
quando arrivo poi ti chiamo 
da un telefono a gettoni 
e ti dico che non mi hanno 
colpito le scosse 
non mi hanno rapito le brigate rosse 
non avere paura, non temere, 
non c'è piombo in fondo al nostro cuore 
io, me la cavo bene. 
tutto un'altra galleria stanotte 
le stelle, le luci dei fanali 
e una mia immensa tenerezza passa per le tue mani, 
ciao, ci sentiamo domani 
Stai serena che se ho sonno 
io mi fermo e forse dormo 
per un paio d'ore o per vent'anni amore 
Stai tranquilla, vado piano 
quando arrivo poi ti chiamo 
da un telefono a gettoni 
e ti dico che non mi hanno 
colpito le scosse 
non mi hanno rapito le Brigate Rosse 
non avere paura e non temere 
non c'è legge speciale 
né ragione di stato 
più nulla da rivendicare 
più nessun potere, nessun mare 
non c'è piombo in fondo al nostro cuore 
stai tranquilla, vado piano 
quando arrivo poi ti chiamo 
poi ti chiamo
“accettare“ ciò che si è diventati col trascorrere del tempo per diventare consapevoli delle nostre effettive potenzialità, trasformandole così in un mezzo per agire più efficacemente nel vissuto quotidiano. fare i conti con il passato mantenendo un'ottica costruttiva nei confronti del presente. entrambi questi concetti sono al centro del brano lettera di san paolo agli operai, il cui video è stato realizzato per la regia di marco e paolo bruciati, con soggetto e sceneggiatura di simone lenzi. per questa canzone, in particolare, lo sguardo si sofferma sugli anni ’70, quelli in cui è cresciuto lenzi, mettendo in primo piano la realtà operaia legata a torino e alla fiat del lingotto.
la forma utilizzata è quella di una toccante lettera aperta datata 1978, in cui l’autore si riconosce al punto da considerarla come la realizzazione compiuta di quelle che sono le sue capacità espressive. la si potrebbe immaginare cantata da un prete operaio, figura emblematica di quegli anni, ma che oggi non c’è più. così come non è rimasto nulla della contrapposizione fra chiesa e partito comunista che caratterizzava quel periodo, essendo nel frattempo sopravvissuta solo la prima. non a caso la canzone si chiude con la frase “ tutto è ormai passato”. un senso di perdita, analizzato alla luce della cruda consapevolezza che la vita consuma un po’ tutto, diventa in questo caso lo stimolo per provare a capire se davvero sia possibile aprire una fase nuova in cui convogliare il desiderio di riscossa che si sente, in questi giorni più che mai, diffuso e palpabile un po’ ovunque…
lettera di san paolo agli operai
scrivo dal nuovissimo quartiere 
da una cella dentro un alveare 
per dirvi che vi auguro 
buon natale 
operai del lingotto 
è un felice 1978 
circoncidetevi il cuore e il petto e apritevi al vento 
io credo nel cemento 
e costruirò la mia chiesa 
perchè io 
io credo in dio 
e credo in voi 
credo nel partito comunista 
e nei pink floyd 
perchè credo nell'amore universale 
e credo in te 
credo in gesù cristo il redentore 
e in berlinguer 
credo nel cemento disarmato 
credo che tutto sia compiuto e che tutto sia ormai passato.





foto:
(1) franco catalucci
(2) (3) (4) starfooker

venerdì 20 dicembre 2013

Soul Kitchen di Gianni Resta

Per 10 settimane, praticamente tutto l'autunno 2013, Soul Kitchen, all'arci Ohibò, ha animato i lunedì sera milanesi. Io ci sono stato ed ho trovato un'atmosfera frizzante e coinvolgente: un accattivante hellzapoppin' di comicità, cibo, buona musica e interventi a sorpresa. Insomma un ottimo modo per combattere il clima grigio e freddo con calore ed allegria. Nell'occasione ho chiesto informazioni più dettagliate a Gianni Resta, l'artista che ha ideato, coordinato, scritto e diretto il tutto. Lui mi ha raccontato la sua visione delle cose:
Innanzitutto una delle mie più grandi passioni è cucinare, un’arte che anche nei passaggi più metodici richiede abilità, esperienza, concentrazione e capacità d’improvvisazione. E' tutta una questione di equilibri, sai, come con la musica, se sbagli una dose, se scrivi un giro armonico di troppo, il risultato finale non sarà mai quello giusto.
In più la musica che preferisco, la musica dei neri, il soul e il jazz in generale, si sposa perfettamente con il cibo: puoi prendere una canzone qualsiasi dal 1920 ai giorni nostri e vedrai che ad ogni boccone sarà come fare l’amore, è garantito.

Ed è proprio per questo che mi è venuta l’idea di mettere in scena Soul Kitchen, uno spettacolo che attraverso il cibo, la musica e l’interazione col pubblico, spianasse la strada al godimento, insomma uno show terapeutico diciamo.
Sì, perché a un certo punto mi sono chiesto: 
Qual é la nostra porzione di godimento puro nell’arco di ventiquattrore? 
Quanto ce la stiamo godendo, ‘sta vita? 
Quanto i nostri sensi sono recettivi e pronti ad abbandonarsi all’estasi e alla bellezza? So di non dire nulla di originale, è evidente che siamo tutti troppo occupati a fare i conti con i ritmi feroci della società.
Le nostre abitudini sono malsane, riprendiamo e fotografiamo ogni istante della nostra esistenza, come se fossimo divorati dall’ansia di poter dimenticare un volto, un posto, una frase.

Guardiamo il mondo attraverso il display di un telefono o di un computer e, l’immagine catturata dall’occhio elettronico, è diventata oggi l’attuale estetica visiva di riferimento… Voglio dire, cacchio, l’estetica è importante, no? 
Inconsciamente condiziona il nostro modo di pensare, ci da il metro di giudizio su cosa per esempio è attraente e cosa meno, su cosa è meritevole della nostra approvazione, del nostro mipiace o del nostro voto. 
Camminiamo e viaggiamo ricurvi su questi schermi luminosi senza curarci più del tragitto, stiamo abituando gli occhi a perdere il contatto col mondo e vietiamo ai nostri sensi il privilegio della lentezza e della scoperta.
Ok..
Sto esagerando? 

Beh effettivamente mi rendo conto che questo non è un discorso che regala grandi boccate di allegria diciamo, ma ho quasi finito, resisti un altro po’…
Giusto il tempo di parlarti del ruolo che secondo me ha la musica in tutto questo. 

A mio parere, neanche lei ci viene più in soccorso, perché da troppi anni ormai è vittima di un meccanismo che la sfrutta e la diffonde nel modo sbagliato. 
A parte la qualità pessima con cui spesso siamo costretti ad ascoltarla, la vera disgrazia è che ce la ritroviamo ovunque!
Negli ascensori, nei camerini dei negozi d’abbigliamento, nelle sale d’aspetto, nei supermercati, in metropolitana, al telefono in attesa di parlare con l’operatore...

Ma dimmi, che senso ha ascoltare una canzone mentre mi devo provare le scarpe? Eh? La musica devo ascoltarla quando decido io, non quando me la impongono! Altrimenti non è più un piacere, ma un fastidio, mi spiego? 
Come civiltà abbiamo dimenticato il senso originario, la funzione magica e terapeutica della musica. Se durante la giornata riuscissimo ogni tanto a ritagliarci i momenti giusti per ascoltarla, potremmo già ottenere una grande conquista e un giovamento in termini di salute, ne sono sicuro. Se, per esempio, durante un concerto o uno spettacolo dal vivo, qualche volta vedessimo lo spettacolo invece di filmarlo, potremmo già cominciare a fare un passo per riconsegnare il mondo ai nostri occhi, e non sarebbe una brutta cosa, ecco.
Così, per tutti questi motivi, quando l’Arci Ohibò mi ha chiesto d’inventare uno spettacolo assegnandomi il ruolo di direttore artistico del Lunedì, ho deciso di mettere in scena Soul Kitchen. Per farlo, naturalmente a quel punto, non mi sono fatto mancare nulla, a partire dagli aspetti tecnici e strutturali.

Ho apportato infatti alcune mie idee ai lavori di ristrutturazione che il locale stava già operando, come l’aggiunta di nuovi sipari e l’acquisto di nuovi monitor audio. Ho chiesto e ottenuto anche di sistemare il camerino perché, sembra un dettaglio minuscolo e infatti spesso gli operatori del settore non ci pensano, ma è una delle cose fondamentali per far godere anche l’artista, mica solo il pubblico. 
Poi ho radunato un cast di oltre trenta persone per produrre dieci repliche, ho chiamato un coro gospel di venticinque potentissime voci (i bravissimi ragazzi del coro del Centro Professione Musica di Milano, diretto dal maestro Tommaso Ferrarese), un presentatore brillante e stralunato, un talento comico capace di gestire tutti i momenti dello spettacolo, abile nell’improvvisare e padrone dei ritmi dello show (Angelo Ciccognani).
Poi un “santone” (Rufin Doh), che nel corso delle puntate ha guarito molti tra il pubblico da problemi di varia natura come sinusite, reflusso gastrico, pressione alta, scarpe strette e sfiga... al grido di: “dovete godere di più”.
Ho arruolato nella ciurma anche un intellettuale, dotato di grande ironia, cinico e pungente da servire come amaro (Manlio Benigni). Naturalmente avevo già la mia fantastica band, ragazzi straordinari davvero. A loro ho assegnato un repertorio di trenta brani, che vanno dagli albori del jazz al soul più moderno e,insieme a tutti questi artisti eccezionali, abbiamo realizzato uno show pieno di energia, che culminava con una spaghettata di mezzanotte per tutti, pubblico compreso.

Abbiamo avuto band ospiti ogni sera diverse e il grande Natalino Balasso ci ha onorato della sua presenza rendendo la serata ancor più straordinaria.
In meno di tre mesi abbiamo stretto tra noi un legame speciale, il cast è diventato una famiglia e il pubblico ci ha sommerso di calore, affetto ed entusiasmo. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare i nottambuli coraggiosi, le centinaia di ragazze e ragazzi che sono venuti a trovarci sfidando il gelido inverno milanese, a loro va tutto il mio affetto e la mia gratitudine.
È stata un’avventura intensa, ci sono stati dei momenti per me davvero indimenticabili e nell’edificare questo nostro personalissimo tempio a Bacco, siamo riusciti a raggiungere l’obbiettivo:
Abbiamo tutti goduto di più, per due ore a settimana.
Abbiamo trasformato il Lunedì, lo abbiamo reso talmente incredibile da farlo diventare un Sabato sera, quindi prima o poi torneremo.
Non so ancora bene dove e quando, perché ora devo pensare solo al mio nuovo disco, ma lo faremo, è inevitabile.
In brevissimo tempo Soul Kitchen è diventato un antidoto per tutti quelli che, come noi, hanno voglia di lasciarsi alle spalle i mali quotidiani cercando, se possibile, di godersi la vita…
Appunto.





foto:
(1) (2) (3) (4)  Annalisa Fontolan

(5) Antonella Ciliberto
(6) Brunella Boschetti Venturi


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mercoledì 18 dicembre 2013

naomi berrill - baubles, bangles & beads (2013)

baubles, bangles & beads è una famosa canzone del 1953, tratta dal musical di broadway, kismet, ispirato a le mille e una notte, classico della letteratura orientale e con brani adattati da lavori del compositore russo aleksandr borodin. negli anni, di questo pezzo, per la melodia accattivante e la particolare struttura armonica, ne sono state proposte diverse versioni, da artisti del calibro di peggy lee, frank sinatra, nina simone, solo per fare alcuni nomi.
naomi berrill, eclettica violoncellista irlandese, trasferitasi in italia alcuni anni fa dopo aver ottenuto a glasgow il diploma di musica, ha ri-arrangiato questo brano nel 2012. il video, diretto da luca franco, è relativo alla perfomance live realizzata presso il rifugio “orto di donna”, ai piedi della val serenaia, in provincia di lucca, durante l’edizione 2013 del festival high notes. il simpatico trio, composto da matthew berrill (clarinetto), naomi berrill, (violoncello e voce) e simone tecla (batteria), ci dona una versione fresca, leggera e dolcemente intima di questo classico evergreen… 
baubles, bangles & beads
baubles, bangles, hear how they jing, jinga-linga
baubles, bangles, bright shiny beads
sparkles, spangles, your heart will sing, singa-linga
wearin' baubles, bangles and beads
you'll glitter and gleam so
make somebody dream so that
some day he may buy you a ring, ringa-linga
i've heard that's where it leads
wearin' baubles, bangles, and beads
baubles, bangles, hear how they jing, jinga-linga
baubles, bangles, all those bright, shiny beads
sparkles, spangles, your heart will sing, singa-linga
wearin' baubles, bangles, and beads
you'll, you'll glitter and gleam so
you're gonna make somebody dream so that
some day he may, he may buy you a ring, ringa-linga
i've heard that that's where it leads
if you're wearin' baubles bangles and them cool, cool beads

lunedì 16 dicembre 2013

il muro del canto - il canto degli affamati (2013)

daniele coccia (voce), alessandro pieravanti (percussioni e monologhi), ludovico lamarra (basso), eric caldironi (chitarra acustica e pianoforte), giancarlo barbati ( chitarra elettrica e cori) e alessandro marinelli (fisarmonica). insieme formano il muro del canto, band che fa della necessità di utilizzare il linguaggio a loro più vicino, la parlata romana che si utilizza in famiglia o con gli amici, l’elemento folkloristico che li contraddistingue fin dal primo ascolto. 
ogni componente del gruppo viene da esperienze musicali molto diverse: si spazia dal rock all'industrial, dal metal al post rock, dalla musica popolare al liscio. l’elemento che accomuna tutti quanti è il forte legame con roma, una sorta di equilibrio instabile, nato dal rapporto di amore-odio che nutrono per la capitale. nelle loro canzoni le esperienze personali si fondono con quelle degli altri, nel desiderio di arrivare al un livello massimo di condivisione dei propri pensieri con quelli di chi li ascolta. la loro musa è la realtà, la vita quotidiana, in particolare il racconto di storie di perdenti e diseredati, ma facendolo quasi con la loro voce, scendendo per strada e facendole vedere come sono, senza sovrastrutture. a poco più di un anno dall'uscita del loro primo disco, l'ammazzasette, seguito da un tour di oltre cento date, la band, a fine ottobre, ha pubblicato ancora ridi, un lavoro in cui l’approccio folk e cantautorale si arricchisce di echi western e si apre a sonorità più rock anche grazie al contributo alla produzione e al missaggio di tommaso colliva
particolare è la scelta di inserire anche due tracce parlate, che diventano veri e propri racconti, storie recitate. il sound proposto è elettroacustico e contaminato dalla presenza di strumenti quali la fisarmonica e il violino, solitamente meno usuali in ambito rock. il video che vi propongo, diretto da carlo roberti, è relativo al brano il canto degli affamati, primo singolo estratto da questo secondo album. una voce baritonale, pungente, caustica, ironica, unita alla melodia trascinante ed energetica ci accompagnano nel racconto di una roma senza tempo in cui la fame, la povertà, in passato come nel problematico presente, diventano protagoniste del vivere quotidiano…

il canto degli affamati

so’ stato a lavorà tutta l’estate
e m’è rimasta solo fame e sete
mi moje è bianca che pare de cera
e gnente c’ha da coce quanno è sera
sembramo du’ fantasmi in controluce
pe’ baccajà nun c’è rimasta voce
e ‘sta chitara c’ha ‘na corda sola
e a mezzanotte er core ce ristora
ma ‘sta canzone se la porta ‘r vento
più arta de san pietro e parlamento
‘sta roma derelitta pija d’aceto
‘na mano c’ha davanti e l’artra dietro
chi c’ha quarcosa se lo tiene stretto
e c’ha ‘r fucile carico ne’ lletto
se arza ogni mezz’ora a controllà
non fosse che quarcuno stia a magnà
chi nun c’ha gnente campa a la giornata
se venne i panni e magna l’insalata
je conti l’ossa quanno ce sta er sole
la fame co' la fiacca lo rincore
ma ‘sta canzone se la porta er vento
più arta de san pietro e parlamento
‘sta voce s’è scallata alla bon’ora
la roma de’ poracci dorme ancora
é troppo tempo che nun magno gnente
me magnerei ‘na cinta de serpente
tanto sognà nun è che costa caro
me magnerei la sella der somaro
c’ho tanta fame che non pio più sonno
de giorno pe’ la fame più m’addormo
dovrebbe escogità n’artro sistema
pe’ nun annà a dormì senza la cena
ma ‘sta canzone se la porta er vento
più arta de san pietro e parlamento
‘sta roma derelitta pija d’aceto
‘na mano c’ha davanti e l’artra dietro

giovedì 12 dicembre 2013

sara velardo: un 2013 da "'ndrangheta" a "il mio amore immenso"

sara velardo è una chitarrista e cantautrice di origini calabresi, che dal 2002 vive in lombardia. dopo anni di esperienze in varie band, nel 2011 ha pubblicato il suo primo disco da solista autoprodotto, migrazioni, a cui è seguita un’intensa attività live. nel giugno 2013 è uscito 'ndrangheta, singolo rigorosamente in dialetto, testimonianza di un amore profondo per la propria terra, raccontata senza omertà in tutte le sue sfaccettature che, a novembre ha vinto il premio musica contro le mafie
il motto di sara è: melodie orecchiabili per temi importanti, cioè tramite “ritornellini pop” che entrano in testa e non ne escono più, cercare di raggiungere più persone possibili affrontando, con “profonda leggerezza”, temi di rilevanza sociale.
questo è l’intento alla base anche di il mio amore immenso, il suo secondo singolo pubblicato da poco. una canzone che sceglie di parlare di omosessualità in maniera felice e serena, con gioia e speranza, senso di comunità e condivisione, nel chiaro intento di scardinare la chiusura mentale con la quale troppo spesso ci si approccia a questo argomento. nel video che accompagna il brano, realizzato da giada canu, sono presenti sia etero che gay senza distinzione di sorta. “realizzare il clip - dice sara - è stata una vera festa, nessuno ha avuto paura di essere etichettato. vorrei che tutti cantassero questa canzone sapendo e capendo di cosa parla. quello che mi piace immaginare è un adolescente che si dichiara al suo amore cantando il ritornello, questo è il mio più grande sogno per questo pezzo”. 
a fine gennaio 2014 è prevista la pubblicazione di polvere e gas, un ep di sei pezzi (compresi i due singoli già usciti). sara aveva urgenza di dire cose, di condividere canzoni da far cantare agli altri, trasmettendo, così, tutto il suo desiderio di cambiamento e rivoluzione socio-politico-culturale. il disco è stato finanziato grazie ad un’originale campagna di raccolta fondi con musicraiser dal titolo "noleggia una cantautrice”.
il mio amore immenso
sono marta e il mio lavoro è progettare mobili 
mi diletto con la poesia 
scrivo versi per lei che vorrei fosse mia 
ma non so se ricambia o no
sono marco e il mio lavoro è vendere automobili 
mi diverto con il calcio guardo tutte le partite 
vivo a roma ormai da un anno
ho lasciato tutto per lui il mio amore immenso
e anche se mi chiamano frocio mi guardano male
non posso evitare di ridere
da quando ho scoperto che
sei tu il mio amore immenso
sei tu il mio amore immenso
sono anna e il mio lavoro è apparecchiare i tavoli 
mi diletto con il canto, scrivo anche pezzi miei 
sono entrata finalmente nel mio corpo morbido 
l'anno scorso ero un altro ora sono io
sono mario e il mio lavoro è far quadrare i numeri 
mi diletto con la pesca, mi rilassa stare solo 
ero nato con un corpo che non era il mio 
ma poi son tornato io
e anche se ci guardano male tu sei qui con me 
non posso evitare di ridere da quando ho scoperto che 
sei tu il mio amore immenso
sei tu il mio amore immenso
sono giulio e il mio lavoro è fare bene i compiti 
il mio sogno resta il calcio, segno a tutte le partite 
sono stato con nicole ma non ho avuto i brividi 
ero perso fino a quando è arrivato lui
e anche se mi chiamano frocio mi pestano a sangue 
mi buttano via mi fanno morire 
non posso negare che 
sei tu il mio amore immenso
sei tu il mio amore immenso

foto (1) angelo ferrillo
       (2) (3) giada canu.