sabato 11 febbraio 2012

leonard cohen - old ideas (columbia, 2012)

non sono un grande conoscitore di leonard cohen ed ammetto di averlo ascoltato spesso con meno attenzione di quella che avrebbe meritato. l'ho sempre considerato un grandissimo autore e poeta, probabilmente uno dei più importanti degli ultimi 50 anni, ma non era mai scoccata alcuna scintilla.
un curioso, prima o poi, però trova qualche spunto per appassionarsi...
lo spunto è stato l'annuncio, qualche mese fa, di un disco di nuove canzoni in uscita a gennaio 2012, ad oltre sette anni dal precedente lavoro in studio. il fatto poi che abbia 77 anni ed affronti temi coerenti con la sua età è stata un'ulteriore spinta.
leonard cohen, nato a montreal da una famiglia ebraica è da sempre appassionato di scrittura, pubblica la sua prima raccolta di poesie nel 1956 e, nei primi anni 60, si trasferisce a hydra, isola greca famoso rifugio di artisti. dopo qualche romanzo ed altri libri di poesie, nel 1966 esordisce come cantante con suzanne, che diventa ben presto un successo universale.
in realtà si è sempre concesso con molta parsimonia alla pubblicazione di canzoni, collezionando solo 14 dischi in quasi 45 anni. è buddhista e per buona parte degli anni novanta scompare dalle scene, ritirandosi in un monastero, in california, dove vivrà nel silenzio e nella meditazione.

leonard cohen torna con un bel disco, intenso e convincente, old ideas.
è una specie di conversazione con la morte, un testamento spirituale, seducente ed ironico ma non per questo meno diretto. diversi brani fotografano la sua attualità, quella di un uomo che guarda diritto negli occhi la vita che gli rimane e ne sorride, illuminato da una voce sempre più roca, baritonale, dai toni notturni a metà tra il cantato e il recitato, una lama che penetra nell'anima.
la musica è essenziale, le chitarre e gli archi sempre discreti, la sezione ritmica morbida e elegante, i cori rarefatti a fare sostegno alla voce del maestro (le voci femminili sono di sharon robinson, dana glover, jennifer warnes e delle webb sisters). le canzoni ci immergono in soffuse atmosfere jazz, blues e gospel, l'ascolto è una cura per lo spirito.
gli anni avanzano e la voglia di fare bilanci emerge con forza: nei testi non c'è niente di rivoluzionario, sono vecchie idee appunto, ma le tracce non per questo suonano prevedibili o già sentite.
cohen ci mostra la sua ironia già nel brano che apre il disco going home, dove si rivolge a sé stesso: "amo parlare con leonard, è uno sportivo ed un pastore, è un indolente bastardo, che vive in un abito". 





le altre tracce viaggiano ordinate come barche illuminate da un faro. difficile interrompere il loro corso, molto meglio lasciarsi guidare fino alla fine del disco, magari a tarda sera, con le luci quasi spente...
probabilmente non sarà il più bel disco della sua carriera ma ascoltare ancora una volta la sua voce inconfondibile è già un prezioso privilegio.
questo poeta, quasi ottuagenario, ha ancora la forza di rimettersi in gioco, proponendoci ciò che può sembrare un testamento, ma che in fondo è ancora qualcosa di molto vitale e creativo. è un disco adulto, per anime mature e, da parecchi giorni, il mio disco della buonanotte...


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